Il giallo di via Tadino di Dario Crapanzano

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Biografia dell’autore

Dario Crapanzano è nato a Milano il 12/01/1939 e morto a Milano il 21/10/2020, si laureò in giurisprudenza all’Università Statale e si diplomò all’Accademia di Arte Drammatica.

Dopo aver lavorato in campo pubblicitario, esordì nel 1967 con la guida sentimentale A Milano con la ragazza…e no.

Nel 2005 pubblicò il romanzo ironico-epistolare Ciao ipocondriaco, ma fu nel 2011 che raggiunse la notorietà creando il personaggio del commissario Mario Arrigoni che sarà protagonista di 9 indagini.

Nel 2018 con La squillo e il delitto di Lambrate introdusse il nuovo personaggio della investigatrice-squillo Margherita Grande.

Recensione

Incipit

Come spesso mi capita, qualche giorno fa stavo girovagando tra gli scaffali della Feltrinelli, quando ad un tratto la mia attenzione viene calamitata verso il titolo di questo romanzo: Il giallo di via Tadino.

Considerato che quella strada la conosco molto bene, non ho potuto fare a meno di prenderlo e leggerne la trama. E quasi senza accorgermene (ahahah) ero davanti alla cassa per acquistarlo.

Ed ora sono qui a proporvi, mie care lettrici e cari lettori, la mia recensione.

Trama

Milano, 1950. È sera, una gelida serata di inizio marzo, piove a dirotto. in una vecchia casa di ringhiera, a Porta Venezia, il corpo di una bella donna sulla quarantina, sposata e madre di due figlie, si sfracella sui ciottoli del cortile, precipitando dal quarto piano.

L’inchiesta tocca a Mario Arrigoni, capo del commissariato di Porta Venezia. Tutto farebbe pensare a un suicidio, ma qualcosa nella dinamica dei fatti non convince il commissario.

Comincia così un’indagine che si svolge in una Milano sferzata dall’ultima coda del freddo invernale, una città da poco uscita dalla guerra, le cui macerie sono ancora visibili nelle strade. Mentre intorno sopravvivono usi e costumi destinati presto a sparire, il piccolo mondo dei coinquilini della presunta suicida sfila davanti ad Arrigoni, rivelando personaggi curiosi, a cominciare da una portinaia molto perspicace, nonché miserie, ambizioni sbagliate, velleità. Al termine degli interrogatori, il suo collaudato metodo investigativo e una felice intuizione finale portano Arrigoni alla soluzione del caso, tanto amara quanto imprevedibile.

Il romanzo di esordio di Dario Crapanzano, capace di ricostruire come nessun altro la magia di un luogo e di un tempo ormai perduti, che nelle sue pagine tornano, più vivi che mai.

Cosa mi è piaciuto

L’aspetto che mi è da subito piaciuto è l’ambientazione, non per la via teatro della tragedia, come ho detto in precedenza nell’incipit, né per la città di Milano. Quello che mi è piaciuto è la scelta del periodo storico: il 1950.

Dario Crapanzano è stato in grado di farmi vivere da spettatore, non solo da semplice lettore, tutta la storia immaginando di camminare tra le strade di una Milano postbellica.

Da milanese, ma penso che possa piacere a tutte le persone curiose, mi ha fatto piacere riscoprire e/o conoscere l’origine di alcuni luoghi di Milano.

Vi lascio un paio di esempi di curiosità su Milano riportati all’interno del romanzo.

Erano state così tante le case distrutte dai bombardamenti che l’amministrazione comunale aveva identificato una zona, tra la Fiera Campionaria e lo stadio di San Siro, dove depositare le macerie, creando una specie di altura, l’unica in una città naturalmente piatta come un’asse da stiro. Col tempo, vi erano cresciuti prati e alberi, creando un angolo verde battezzato popolarmente “la Montagnetta di Milano”, ma ufficialmente denominato Monte stella.

Finita la guerra, l’attività teatrale a Milano era ripresa a pieno ritmo, confermandola nella posizione di piazza più importante per le compagnie di prosa che giravano per l’Italia. Era persino nato un teatro stabile, il Piccolo Teatro di via Rovello, dove si stava affermando il talento di un giovane regista triestino, Giorgio Strehler.

Il resto delle curiosità e avvenimenti storici realmente accaduti, tratte dal romanzo e raccontate dallo stesso Crapanzano, le troverete nell’ultimo capitolo della recensione.

Un aspetto che normalmente non apprezzo molto in un romanzo, l’essere troppo prolisso nelle descrizioni di luoghi e/o personaggi, questa volta l’ho apprezzato perché aiuta a capire il periodo storico lontano dai giorni nostri e poi aiuta anche a conoscere la figura del Commissario Arrigoni, considerando che si tratta del primo dei 9 romanzi che lo vedono come personaggio principe.

Cosa non mi è piaciuto

L’unico appunto negativo che mi sento di segnalare, riguarda il capitolo 7 che, a mio avviso, ho trovato inutile ai fini di tutta la storia. In questo capitolo viene raccontata una domenica tipo del commissario e della sua famiglia.

Le mie considerazioni e valutazioni finali

È un vero giallo a tutti gli effetti, come lo possono essere i romanzi di Agatha Christie e Arthur Conan Doyle.

Quindi da consigliare ad un pubblico appassionato al classico giallo e non i più moderni thriller e/o legal thriller.

A questo punto non mi resta che augurarvi… buona lettura!

Curiosità e aneddoti

Come promesso ecco qualche altro aneddoto tratto dal libro…

Il nome di Corso Buenos Aires prima era Corso Loreto.

Casa Luraschi, edificata verso la fine dell’Ottocento al numero 1 di quello che allora si chiamava corso Loreto, era stata una delle prime costruzioni a infrangere una vecchia regola urbanistica milanese, la cosiddetta “servitù del Resegone”. Secondo questa norma, che riguardava però solo gli edifici nella parte nord della città, era vietato erigere ricostruzioni che superassero i due-tre piani, arrivando così a un’altezza tale da non permettere la vista del Resegone, monte del Lecchese famoso soprattutto per la citazione manzoniana. La seconda, singolare caratteristica la si scopriva entrando nel cortile. Qui, il ricordo manzoniano era esplicito. In primis, spiccava la linea slanciata di alcune splendide colonne del Seicento, un tempo inserite all’interno del complesso del Lazzaretto. Guardando invece in alto, verso il cornicione, si potevano ammirare dodici grandi medaglioni in terracotta, ognuno dei quali conteneva il busto statuario di un personaggio del romanzo.

La scuola, frequentata da una delle figlie del commissario, è in via Giacosa, una delle migliori istituzioni scolastiche di Milano, all’avanguardia sia per gli spazi di cui disponeva sia per i metodi di insegnamento. Creata nell’ampio polmone verde di un ex galoppatoio (Parco Trotter) donato al comune nei primi del Novecento, costituita un raro esempio di progetto scolastico innovativo ed alto contenuto umanitario. Dedicata inizialmente solo ai bambini gracili e malaticci, era stata aperta, col tempo, anche agli abitanti del rione. Le aule erano collocate all’interno di deliziosi padiglioni simili a chalet, immersi in un grande parco con piante d’alto fusto, prati, fiori, un frutteto e persino un alveare, con tanto di piscina all’aperto e voliera con uccelli. Tutto a disposizione degli alunni.

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