Vanina la Zoppa di Emanuela Vacca

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Biografia dell’autrice

Emanuela Vacca (Milano, 1953)vive e lavora a Cassano d’Adda. Scrittrice e fotografa, ha pubblicato una raccolta di romanzi dal titolo Scritti tra la penna e la luna e il romanzo Io, donna. Nel 2004 ha vinto il premio Marguerite Yourcenar con il racconto La tana e l’anno successivo è arrivata nei primi posti al concorso Angela Starace, promosso dalla città di Napoli, con il racconto Noi due. Dal 1996 2003 ha collaborato, assieme ad altri autori, con le riviste letterarie Cafè Matique, Zero Est, Clippers, Hevelius Web Magazine e con i siti di storia antica duepassinelmistero.it e medievale.it. Nella fotografia ha esordito con il reportage sull’ex-linificio e il Castello visconteo di Cassano d’Adda e sulle cascine lombarde. Nel 2012 e 2013 ha collaborato con il Comune di Cassano d’Adda alla realizzazione del catalogo Ecoismi su opere d’arte ecologiche.

Recensione

Incipit

Un mese fa mentre giravo tra gli espositori della fiera dell’editoria indipendente BookPride a Milano mi sono imbattuto nello stand dell’editore Meravigli, che per i milanesi è sinonimo del calendario storico: El Milanes.

Il mio sguardo è stato subito attratto dal titolo di questo libro: Vanina la Zoppa. Processo alle streghe in Martesana.

Ed ora sono qui a proporvi, mie care lettrici e cari lettori, la mia recensione.

Trama

La storia di Vanina la Zoppa è ambientata a Cassano d’Adda, a cavallo tra il 1519 e il 1520. Un momento di passaggio turbolento e instabile. A quel tempo, il Ducato di Milano era controllato dai francesi, ma ai suoi confini premeva l’esercito dell’Imperatore Carlo V che puntava ad annettersi alla ricca Lombardia. Dopo la dominazione dei Visconti e degli Sforza, Cassano, e gran parte della Gera d’Adda, erano diventate terra di nessuno. Un territorio ambito e conteso, e quindi soggetto a ogni sorta di ruberie. Un territorio insicuro e pericoloso, dove la popolazione assisteva indifesa a scorribande di soldataglie, francesi e veneziane, che depredavano, saccheggiavano e profanavano tutto ciò che incontravano. In questo contesto si inserisce la vicenda realmente accaduta a Vanina detta la Zoppa di Pontirolo, Leonarda d’Inzago e Caterina de’ Cerbalii di Pontirolo Nuovo, processate per stregoneria dal Tribunale dell’Inquisizione, assieme ad altre due donne, nel gennaio del 1520. Nela storia, accanto a personaggi realmente esistiti ne compaiono altri che, pur prendendo spunto da documenti di quello stesso periodo, sono frutto della fantasia dell’autrice. Vanina, con ogni probabilità, era una “donna herbana”, che conosceva le proprietà e l’uso delle erbe. Conoscenze che, quasi sicuramente, decretarono la sua condanna, la sua morte, in una gelida mattina d’inverno, su una pira innalzata sulla piazza antistante l’imponente castello di Cassano, in Martesana.

Cosa mi è piaciuto

L’aspetto che subito salta all’occhio, quando si prende in mano questo libro, è la presenza delle schede esplicative dei luoghi e personaggi realmente esistiti inseriti nel romanzo.

L’autrice attraverso questo racconto mi ha permesso di viaggiare nella zona di Cassano d’Adda (Milano) e dintorni nel 1520, anno nel quale è ambientata l’intera storia. Ho scoperto curiosità (alcune delle quali le ritroverete nell’ultima parte di questa recensione) e luoghi che non esistono più come la stessa Pontirolo, paese d’origine della protagonista della storia: Vanina.

Il viaggio in queste zone dell’hinterland milanese, è coadiuvato da alcune foto, scattate dalla stessa Emanuela Vacca, che ritraggono scorci della cittadina di Cassano d’Adda, tra i quali il Castello Visconteo e la piazza antistante il castello stesso, teatro della pira sulla quale venne uccisa Vanina.

Complimenti all’autrice la quale è riuscita, con uno stile semplice e lineare a raccontare e romanzare una storia realmente accaduta, portandola alla conoscenza di tutti noi, è riuscita anche a suscitare, almeno a me è accaduto, momenti di patos, come ad esempio il momento della fuga di Vanina dagli inquisitori

Correva la donna herbana. Correva tra la folla che la schiacciava, sbarrandole la strada, inveendo, ridendo sguaiatamente.    

Gli occhi accecati dalle lacrime, il denso umore nero della paura sotto la pelle madida, si infilò in un vicolo del Ricetto, il cuore del paese. Ma da lì dovevo uscire.

Correva Vanina, i polmoni che bruciavano, il piede offeso dolorante. Correva. Di là dal fiume si sarebbe sottratta alla folla. Ma dietro di lei sentiva un vociare feroce e concitato che guadagnava terreno.

Inciampò e cadde. Cercò di rialzarsi. All’improvviso, una mano forte si strinse intorno al suo braccio.

Un altro punto del libro molto palpitante è quello nel quale viene raccontato un momento della prigionia di Vanina nelle segrete del castello.

Fu allora che colse il rumore. Un fruscio che veniva dalla semioscurità. Si chinò. Per terra, scorse un cumulo di stoffa che pareva respirare. Là sotto, non era sola…

Il finale è stato un idea geniale: l’ho trovato molto bello e accattivante.

Al momento della stesura degli appunti presi durante la lettura, avevo segnato questo aspetto da riportarvi nella recensione, ma alla fine per non rovinarvi il finale non vi anticipo nulla in merito.

Non vi resta che scoprirlo da soli!

Cosa non mi è piaciuto

L’unico appunto negativo è, a mio avviso, la mancanza di note a margine che possano aiutare a capire alcuni termini non più in uso per indicare alcune zone della città, come ad esempio cos’è il Ricetto, o quando nomina parti del vestiario in uso nel 1520.

Le mie considerazioni e valutazioni finali

Questa lettura mi ha fatto riflettere su un aspetto dell’uomo che, nonostante siano passati non anni ma secoli dal quel lontano 1520, perdura nell’indole umana: l’ignoranza e la paura del diverso, portandoci a discriminare chi non è come noi.

Nel caso specifico del romanzo, la protagonista Vanina, viene condannata al rogo pur non avendo commesso nulla: la si reputava colpevole di curare la gente non con la medicina scientifica ma con il solo utilizzo di erbe.

Lo consiglio a tutti quelli che non conoscono la storia di Vanina ma anche a chi già la conosce ed è curioso di scoprire come Emanuela Vacca l’abbia romanzata.

A questo punto non mi resta che augurarvi… buona lettura!

Curiosità e aneddoti

Come anticipato nella prima parte della recensione vi lascio, di seguito, alcune curiosità che troverete all’interno del romanzo.

  • Tarantasio era il nome di un drago leggendario che terrorizzava gli abitanti dell’antico lago Gerundo (oggi prosciugato), nella zona di Lodi. Si riteneva che questo animale mitologico divorasse i bambini, distruggesse le imbarcazioni e con il suo fiato pestilenziale ammorbasse l’aria e causasse una strana malattia denominata febbre gialla.                                                                                                         A testimonianza della leggenda, il drago ha dato il proprio nome a una frazione di Cassano d’Adda denominata Taranta appunto.
  • In occasione della Samhain, antica festa celtico-pagana, celebrata tra il 31 ottobre e il 1º novembre e conosciuta spesso anche come Capodanno celtico era in uso celebrare questa preghiera

La Natura non teme la morte.

La Natura sa che è solo un cambiamento di stato. Un processo da accogliere con gioia, salutando chi se ne va, accogliendo chi arriva.

Noi siamo qui per salutare la vita che lascia il passo alla morte.

Celebriamo il passaggio, propiziando i favori della Dea, entrando nel Cerchio Sacro, il luogo interiore che ci porterà fuori del tempo.

Madre, fa che i nostri corpi e i nostri cuori traccino un confine col resto del mondo, una linea invisibile, che allontani i tristi pensieri, che ripulisca la nostra mente e la nostra anima.

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